Passione e professionalità, amore per la scrittura e per l’informazione di qualità, curiosità e senso di responsabilità, spirito di iniziativa e desiderio di ricerca, puntualità e resilienza: se ti riconosci in questa breve descrizione, allora quella del giornalista professionista è la tua strada giusta.
Sul nostro sito abbiamo una serie di Annunci di Lavoro per Giornalisti.
Ma come si diventa, realmente, un giornalista professionista?
Cosa è necessario sapere per fare del giornalista la tua professione quotidiana?
Abbiamo chiesto a chi ha il giornalismo inscritto nel DNA di suggerirti qualche prezioso consiglio. Pronto a scoprire insieme cos’hanno da raccontarti le nostre esperte?
#1. Ciao Gloria, raccontaci di te. 🙂 Chi sei? Cosa fai? Quali sono le tue passioni?
Prima di tutto grazie, Ludovica, per questa opportunità: le interviste sono per me momenti di riflessione! Mi chiamo Gloria Vanni, sono nata a Genova, crescere di fronte al mare mi ha resa inguaribilmente apolide anche se vivo a Milano da 33 anni.
Sono giornalista professionista nel secolo scorso. Sono blogger, copywriter, giornalista e divulgatrice digitale nel terzo millennio. Scrivo e curioso nelle pieghe della vita. Ogni giorno mi impegno a scrivere e comunicare bene.
Le mie passioni? Viaggiare, camminare, nuotare, passeggiare con Miele, il mio cane, soprattutto la mattina presto. Ascoltare musica, fotografare, fare Pilates, andare in bicicletta, a teatro e al cinema. Prendermi cura di persone e cose, anche attraverso il volontariato. Leggere, creare connessioni tra le persone, cucinare, ospitare e poi basta perché è il tempo che manca, non le passioni!
#2. Partiamo subito in quinta! Sei una giornalista professionista. Come si diventa giornalisti di professione e com’è possibile far carriera nel settore?
Non so oggi, io sono professionista da gennaio 1990 e non credo siano cambiati i modi per diventarlo.
Il primo è frequentare una scuola di giornalismo e poi andare a bussare a destra e a sinistra affinché qualcuno ti dia la possibilità di iniziare a lavorare. Scherzo ma non troppo.
Il secondo è essere figlio/figlia di un/una giornalista e allora le porte di una redazione sono più o meno aperte, come succede in altri lavori.
Fai 18 mesi di cosiddetto praticantato, ti prepari per l’esame scritto/orale a Roma e se lo passi ottieni il tesserino amaranto da professionista. Quello da pubblicista è verde.
La terza tramite l’Ordine Regionale di appartenenza se lavori come freelance: presenti circa 70 articoli pubblicati e pagati in due anni continuativi di collaborazione, senza interruzione, (il numero è indicativo, varia da una regione all’altra, quindi è meglio chiedere), documentazione utile a dimostrare che fai la libera professione e vivi di giornalismo. Se l’Ordine approva la tua richiesta, vieni iscritto d’ufficio al Registo dei Praticanti e puoi andare a Roma a sostenere l’esame.
È il mio caso. Sono stata la seconda in Lombardia a seguire questa prassi: nel 1989 vivevo solo di scrittura e giornalismo, da tre anni collaboravo con diverse testate. Con alcune in modo continuativo e nessuna mi ha mai proposto contratti di collaborazione e assunzioni. Sono stata fortunata perché ho fatto la libera professione in anni felici in cui lavoravi tanto ed eri pagato per il tuo lavoro.
Ho iniziato proponendomi a giornali e redazioni che mi piacevano, facendo proposte di notizie e articoli. Quasi subito ho scelto una specializzazione, viaggi ed enogastronomia. Sono curiosa e ho scritto anche di moda, cucina, arredamento, design, gioielli, edilizia, sostenibilità… Amo fare le interviste più delle inchieste. Ho realizzato il sogno di essere inviato speciale, non di guerra ma di bontà e tradizioni della Terra.
Per due anni sono andata nel mondo a realizzare fotoreportage su prodotti che usiamo e mangiamo, di cui (spesso) non conosciamo origini e caratteristiche. Per esempio, sono stata in Brasile per il caffè, in Madagascar per il cacao, a Mauritius per lo zucchero di canna, a Zanzibar per i chiodi di garofano.
Andavo al supermercato vicino a casa, curiosavo tra gli scaffali e poi facevo proposte ai miei direttori. Servizi che realizzavo a costo zero per il giornale. Come giornalista di viaggi era abbastanza semplice trovare con chi viaggiare, tour operator, compagnie aeree, alberghi che segnalavo poi nell’articolo. Raramente ho partecipato a “presstour”, gli attuali blog tour.
#3. Come guadagna un giornalista professionista? E come può trovare lavoro?
Domanda di riserva? Oggi la scrittura è solo una parte di questa professione. A parte alcuni, pochi giornalisti professionisti, la maggior parte di chi, come me, lavora come freelance fa di tutto!
Oltre a scrivere articoli e libri, occorre ritagliarsi ruoli diversi come presentatori, moderatori, formatori, consulenti di comunicazione… Il lavoro lo trovi andando a proporti con l’umiltà di imparare ogni giorno qualcosa, con disponibilità e capacità di contribuire a progetti comuni, con idee, creatività e mettendoti nelle scarpe degli altri.
Tornando alla scrittura, posso dirti che dati i tempi e la rivoluzione in corso, una mia cartella giornalistica (1800 battute, 30X60 righe) ha perso il 50% di valore. Cioè, se fino al 2008 avevo un valore di 100, cifra a caso, oggi valgo 50 e non perché io non sappia più scrivere.
#4. Cosa fa quotidianamente un giornalista? Come si svolge la sua giornata tipo?
Dipende se sei freelance o giornalista in redazione. Il comune denominatore è informarsi, leggere e sapere cosa sta accadendo nel mondo. Poi, c’entra anche la specializzazione: il giornalista di cronaca frequenta tribunali e commissariati, quello di spettacoli va a teatro, cinema eccetera, per fare due esempi.
Il freelance corre e propone, quello che sta in redazione fa proposte e riceve incarichi nelle riunioni che possono essere quotidiane, settimanali, mensili, dipende dalla periodicità dei media. I giornali si fanno al 60/70% al computer. Per cui, chi è interno a una redazione trascorre le giornate facendo il cosiddetto lavoro di macchina o “cucina di redazione”: fa titoli, occhielli, sommari, didascalie a foto agli articoli. Passa le giornate a chiudere pagine preparate dai grafici, pagine che vanno poi mandate allo stampatore. Ha la sicurezza di uno stipendio e corre, come il freelance che non ha sicurezze economiche ma gode di maggiore libertà e creatività. Entrambi sono sempre di corsa dietro al tempo: sembra che non ne abbiano mai abbastanza!
#5. Quali competenze deve possedere un giornalista professionista? E quali qualità?
Professionista, pubblicista, dipendente, freelance per me non ci sono differenze: sei giornalista, punto. Come giornalista, professione con responsabilità sociali e una deontologia da rispettare, devi essere onesto, curioso, appassionato, imparziale, responsabile, pronto a informare e non giudicare. Questa è la mia visione e so che non sempre corrisponde alla realtà.
Uno dei motivi per cui ho lavorato poco con i quotidiani è la scelta di non avere obblighi e condizionamenti politici. Credo che l’esperienza e la capacità di continuare a guardare il mondo con occhi aperti siano competenze e qualità indispensabili per un giornalista. So che c’è già qualcuno pronto a contraddirmi. È il mio pensiero, il mio modo di essere giornalista.
Sono profondamente innamorata di questa professione, l’ho scelta e me la sono conquistata un giorno dopo l’altro. È un amore che mi obbliga al rispetto di regole e princìpi, deontologici e umani come l’onestà. Forse l’onestà è più mia che non del mio essere giornalista.
#6. Quale percorso di studio prima e professionale poi deve seguire chi vuole diventare un giornalista professionista?
Non c’è, a mio avviso, un percorso ideale anche se un liceo a indirizzo umanistico è d’aiuto. Poi, come detto prima, ci sono scuole di giornalismo e ci sono ottimi giornalisti professionisti che hanno magari fatto Ingegneria e non Scienze delle Comunicazioni.
Sai, al di là dello studio, il giornalismo è qualcosa che hai dentro, un fuoco interiore… Tanto più oggi dove ci vuole coraggio a intraprendere una carriera che molti danno quasi per estinta. Però, proprio in questi giorni La Repubblica ha festeggiato i suoi primi 40 anni, Ezio Mauro passa il timone a Mario Calabresi, il più giovane direttore d’Italia. Ecco un esempio di giornalismo più vivo che mai, una conferma che c’è ancora la possibilità di fare buon giornalismo.
Il mio consiglio è scegliere una redazione, frequentarla, proporsi e continuare a proporre sapendo che possono passare anni prima che arrivi un vero contratto. L’obiettivo è fare pratica, essere e sentirsi giornalista, poi pensare al contratto.
#7. Com’è cambiato il giornalismo in seguito alla diffusione del Web?
Credo siano cambiati i mezzi ma il dna del giornalismo è sempre lo stesso: sono le risposte che devi dare ai lettori. Sono immutate sincerità, chiarezza, sinteticità, semplicità.
Le 5 “w” del giornalismo tradizionale (Where, Way, Who, What, When) continuano a vivere sul web e sono fondamentali per noi lettori compulsivi, bombardati da troppa informazione, sempre di fretta e con la necessità di capire nelle prime cinque righe se stiamo leggendo qualcosa che ci interessa o no.
Poi, il web è una rivoluzione, giovane, che ha prodotto profondi cambiamenti in noi: è un mondo senza barriere, aperto a chiunque dove trovi tutto e il contrario di tutto. È un’opportunità che pochi giornalisti hanno colto perché dagli anni Novanta ci è stato presentato come “il fantasma che ti ruba il lavoro”.
Gli editori stanno iniziando a capire che non è possibile replicare online il giornale di carta, i contenuti devono essere diversi, magari approfondimenti di una notizia con aggiornamenti e partecipazione. Sì, per la prima volta nella nostra storia, la comunicazione è orizzontale e io voglio dire la mia, anzi sono parte della notizia che da prodotto è diventata processo: è viva e in continuo divenire.
Tutto questo tanti giornalisti non lo hanno ancora capito. Hanno paura della libertà digitale, hanno timore a esporsi, non hanno l’abitudine a dialogare con i propri lettori, non hanno voglia di uscire dalla propria zona di comfort. Io ho perso il lavoro nel 2008, in 20 giorni: l’editore ha chiuso il giornale in cui ero caporedattore con funzioni di direttore e l’azienda dove lavoravo da oltre 12 anni mi ha licenziata. Preparavo il mio curriculum ed ero certa che la mia carriera di giornalista della carta fosse terminata: 51 anni, troppa esperienza e una testa da libera battitrice, più pericolosa che utile. Le aziende preferiscono prendere giovani che non danno fastidio, da inquadrare a proprio piacimento.
Dove posso continuare a comunicare e lavorare, mi sono chiesta? Sul web! Ho iniziato a studiare, continuo a studiare. Ho cambiato modo di scrivere e continuo a sperimentare, a compiere errori e da questi riparto per migliorare. Credo in un mondo migliore e in prima persona ci metto la faccia, un giorno dopo l’altro, fino all’ultimo sorriso.
#8. Qual è il ruolo dell’informazione digitale?
L’informazione digitale ha una sfida affascinante di fronte a sé perché deve acquisire autorevolezza per emergere nell’Oceano Web dove naviga di tutto. Deve creare relazioni e coinvolgimento con lettori pronti a partire per lidi migliori. Deve essere sincera, utile, capace di contribuire a cambiamenti sociali. Ha un ruolo molto più complesso, è più importante di quella del secolo scorso perché la tecnologia oggi ci consente traguardi straordinari, impensabili fino a 10 anni fa.
#9. Come si può distinguere una fonte di informazione autorevole da una che non lo è?
Bella domanda, cui mi viene da dire non ci sono risposte certe! Tutti sappiamo che online le bufale vengono a galla velocemente. Perciò i media che fanno titoli a effetto per catturare lettori e vantarsi di numeri alti, be’ poi come spiegano i tempi di permanenza bassi sulle pagine? Stiamo comunque parlando di numeri, algoritmi, voci e strumenti che definiscono autorevolezze e influencer.
Continuo a pensare che buonsenso e passaparola siano i tool migliori per distinguere chi è autorevole e influente da chi non lo è. Poi, dipende dai gusti! Salgo su quel carro perché mi conviene pur sapendo che i contenuti sono quello che sono. Evviva la libertà di scelta! Pratichiamola, usiamola per capire chi vogliamo essere, cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare. Nessuno mette in discussione l’autorevolezza del New York Times: la sua pagina Facebook è un esempio di comunicazione social, con regole e numeri che parlano da soli.
#10. Come sarà, secondo te, il futuro del giornalismo?
Auspico un giornalismo di qualità e sempre più collaborativo, con contenuti “creative commons” come La Stampa ha scelto di fare da dicembre 2015. La condivisione dell’informazione è diffusione della conoscenza, è contribuire alla crescita di un mondo più equo e connesso, con meno barriere e muri. Un mondo migliore, un mondo LessIsSexy!
Anna Bruno, giornalista freelance iscritta all’Ordine dei Giornalisti Professionisti dal 1995, sono Consigliere presso l’ordine dei Giornalisti e direttrice di FullPress.
#1. Ciao Anna, raccontaci di te. 🙂 Chi sei? Cosa fai? Quali sono le tue passioni?
Mi chiamo Anna Bruno e sono una giornalista freelance. Sono iscritta all’Ordine dei Giornalisti dal 1995 e da 10 anni sono giornalista professionista. Faccio la giornalista per soddisfare la mia voglia di conoscere il mondo, è una professione che ho sognata fin da piccola.
Quando frequentavo le scuole elementari mi si chiedeva: cosa vuoi fare da grande? La mia risposta è sempre stata: la giornalista. Anni fa era una professione semisconosciuta in provincia ecco perché spesso lasciavo interdetto chi mi poneva questa domanda. Ho diverse passioni: viaggi, musica, fotografia in primis.
#2. Partiamo subito in quinta! Sei una giornalista professionista, consigliere dell’Ordine e Membro di Commissione del Sindacato Unitrario (FNSI) dei giornalisti. Come si diventa giornalisti di professione e com’è possibile far carriera nel settore?
Ci sono diverse strade che portano al professionismo, quella classica che passa dalla gavetta è quella da me percorsa.
Regola numero uno: bisogna trovare una testata registrata (radio, televisione, carta, web, etc.) che ti faccia scrivere e che ti paghi. Quest’ultima affermazione sembra scontata, invece non lo è. “Conditio sine qua non” per diventare giornalista pubblicista (primo step, a volte basta anche questo) è la presentazione all’Ordine dei Giornalisti della regione di residenza di una serie di documenti che attestino non solo il lavoro svolto ma anche la retribuzione percepita. Ogni Consiglio Regionale ODG (Ordine dei Giornalisti) ha una sua soglia di reddito che tiene presente la realtà dove si opera e le indicazioni dell’ODG Nazionale. Ricordo che scrivere per un sito non significa avere i requisiti per la presentazione della pratica di giornalista pubblicista. Il sito deve essere una testata registrata, pertanto avere un direttore responsabile che per legge è un giornalista (pubblicista o professionista non fa differenza). Per diventare professionista il cammino si complica perché bisogna fare 18 mesi di praticantato, dopo essere iscritti all’Albo come Giornalista Pubblicista, presso una redazione (questa è un’impresa perché le assunzioni nei giornali non avvengono quasi mai a causa di un mercato saturo e in forte crisi). Dopo i 18 mesi si passa all’Esame di Stato per Giornalisti che si volge da due alle tre volte all’anno a Roma. Con il superamento dell’Esame di Stato (consta in una serie di prove teoriche e pratiche) si diventa “giornalista professionista”.
Fino a qualche anno fa con questo titolo si doveva esercitare la professione in forma esclusiva, oggi il giornalista professionista è colui che esercita in forma prevalente. Se per svariati motivi si vuol cambiare lavoro è sufficiente dichiarare all’Ordine di voler congelare la posizione. Se si è anche giornalisti pubblicisti (ovvero si proviene dalla gavetta, come nel caso fin qui esposto) ci si può declassare da professionista a pubblicista con la possibilità di riprendersi la posizione ogni volta che si vuole (non si viene cancellati). Nel caso che segue, invece, si congela la posizione perché spesso non si è anche giornalista pubblicista.
L’altra modalità che porta al giornalismo professionistico è la laurea in giornalismo o la frequenza di scuole di giornalismo post diploma. In molti casi agli studenti, dopo la laurea o la scuola, non spetta altro che superare l’Esame di Stato in quanto il praticantato viene riconosciuta per la frequenza dei corsi universitari.
#3. Come guadagna un giornalista professionista? E come può trovare lavoro?
Ci sono due modalità: reddito dipendente da contratto giornalistico (assunto da un editore, per dirla in breve, strada difficile) oppure lavoro autonomo (la maggior parte dei giornalisti, colpa anche la saturazione del mercato e il calo di vendita delle testate tradizionali) ovvero proporre ai giornali il proprio servizio giornalistico, oggi impresa sempre più ardua.
Ci sono diverse specializzazioni nel mondo del giornalismo. Io sono nata con i quotidiani cartacei per poi lavorare per gli specializzati in viaggi e tecnologie. Poi il web. Ho iniziato nel 1998 con la direzione della mia prima testata giornalistica, FullPress, per poi proseguire con FullTravel e FullSong.
#4. Cosa fa quotidianamente un giornalista? Come si svolge la sua giornata tipo?
Di solito un giornalista freelance (lavoratore autonomo) sa già cosa fare durante la giornata. Spesso partecipa a conferenze stampa ed incontri, oppure raccoglie appunti e scrive articoli su commissione o da proporre. Al mattino , ovviamente, consulta una serie di organi di stampa, risponde alle email e organizza la giornata. Un giornalista contrattualizzato, si muove allo stesso modo essendo comunque indipendente (almeno me lo auguro) nella proposta giornalistica. Se si lavora per un quotidiano cartaceo, è il pomeriggio/sera il momento clou della giornata.
#5. Quali competenze deve possedere un giornalista professionista? E quali qualità?
Deve essere un tipo curioso e saper riconoscere la notizia. Per quanto riguarda gli studi, a parte le scuole e facoltà di giornalismo, attualmente ancora è possibile diventare professionisti con altri titoli di studio (non è di obbligo la laurea). Consiglio di studiare, di attenersi ai doveri dei giornalisti tra i quali la verifica delle fonti, di rispettare le regole, l’etica e la deontologia professionale. Giornalisti si nasce o si diventa? La risposta contiene entrambe le verità.
#6. Quale percorso di studio prima e professionale poi deve seguire chi vuole diventare un giornalista professionista?
Come dicevo, oltre alle Facoltà e alle Scuole di giornalismo che sono un’istituzione giovane, non ci sono studi particolari ma bisogna conoscere molto bene la storia del giornalismo, il diritto, la tecnica giornalistica (tutte materie dell’Esame di Stato) e il mondo editoriale.
#7. Com’è cambiato il giornalismo in seguito alla diffusione del Web?
E’ cambiato molto, non possiamo nasconderlo. Ricordo quando ho iniziato a scrivere (bene 26 anni fa) per un quotidiano locale. Allora c’era ancora il “fuori sacco” ovvero gli articoli dattiloscritti venivano inviati, ogni sera, alla sede centrale dalle redazioni periferiche fuori dal sacco postale che viaggiava via ferrovia.
Oggi, grazie ad Internet, tutto questo rappresenta un “giornalismo romantico”, bisogna essere veloci nel divulgare le notizie facendo attenzione all’insidia bufala che sul digitale viaggia alla stessa velocità della notizia.
#8. Qual è il ruolo dell’informazione digitale?
A mio avviso l’informazione riveste ancora un ruolo capillare, importante, fondamentale. Anzi!
#9. Come si può distinguere una fonte di informazione autorevole da una che non lo è?
La differenza spesso è fatta dal nome della testata giornalistica e, perché no, dalla qualità dei contenuti dell’articolista. Non è necessario essere testata storica o giornalista attempato per essere autorevoli. Bisogna essere unici, esaustivi, precisi, completi. Come nelle altre professioni, anche in quella giornalistica, i “buongustai” riescono ancora a riconoscere la qualità. Diffido dal leggere giornali che usano “copia e incolla” e pubblicano solo “comunicati stampa”. Diffido dal dare importanza ad un giornalista che scrive senza approfondire, senza informare e senza pensare al destinatario del proprio messaggio.
#10. Come sarà, secondo te, il futuro del giornalismo?
E’ una domanda difficile. Credo e spero che la qualità possa “far rimanere a galla” le migliori testate e, soprattutto, le firme eccellenti del giornalismo. Il digitale ha mischiato le carte e non è facile capire cosa potrà accadere da qui a qualche anno. Il comparto è in crisi, è inutile negarlo. Tuttavia bisogna essere positivi e pensare che neanche la “televisione” ha ucciso “il cinema”. Anzi!
Alessandra Arpi, giornalista pubblicista freelance, webwriter e co-founder di The Social Effect, agenzia di comunicazione.
#1. Ciao Alessandra, raccontaci di te. 🙂 Chi sei? Cosa fai? Quali sono le tue passioni?
Sono una giornalista pubblicista col pallino per l’inglese e per la comunicazione sul web. Da ragazzina avevo una consumata mappa degli Stati Uniti appesa in camera, ripetendo a tutti che un giorno ci sarei andata. Anni dopo ci ho vissuto per un po’, prendendo tutto il buono che la cultura anglosassone potesse tramandarci a livello di comunicazione: è proprio questa la mia ispirazione. Unire alla passione tutta italiana per la parola il pragmatismo tipico d’oltreoceano.
Ché noi siamo bravissimi ma ogni tanto pecchiamo in concretezza. Nel frattempo mi sono laureata la prima volta in Lingue per la Comunicazione all’Università Cattolica di Milano e, per non farmi mancare nulla, finirò presto la magistrale in Informazione ed Editoria. Ho collaborato con varie testate online e lo scorso anno ho stretto tra le mani il famigerato tesserino da giornalista pubblicista. Oggi sono freelance e collaboro con diverse realtà, oltre a essere mamma dell’agenzia www.thesocialeffect.it, in cui mi occupo della parte redazionale e ufficio stampa, oltre che contribuire a curare il blog. Insomma, mai una noia. 🙂
#2. Partiamo subito in quinta! Sei una giornalista. Come si diventa giornalisti di professione e com’è possibile far carriera nel settore?
È una bella domanda, perché oggi è davvero difficile diventarlo e io sono stata, nel giro di alti e bassi lavorativi, molto fortunata: ho lavorato per più di due anni per una testata online di cronaca, raggiungendo un numero minimo di articoli annuali e un determinato compenso. Per poter far domanda d’iscrizione all’Ordine servono infatti almeno due anni continuativi di lavoro giornalistico in una testata, iscritta al Tribunale, con compenso (di almeno 1260 euro l’anno, se non ricordo male) e un numero minimo di articoli annuali, intorno ai 60.
Altra storia per i giornalisti professionisti, che hanno un percorso ancora più impervio da praticare: due anni di praticantato in una testata (contratto che ormai pochissime testate concedono) che ti permette di accedere al temuto esame di Stato a Roma. Sono due strade diverse e due carriere in ogni caso diverse. Posso solo dire che, dal mio punto di vista odierno, è difficile in entrambi i casi. Il mondo dell’informazione tradizionale è parecchio in crisi e a volte è più facile lavorare con collaboratori, tirocinanti o giornalisti ormai in pensione che si prestano senza bisogno di compenso. Insomma, c’è tanta concorrenza e pochissima offerta. E la gavetta sembra non finire mai. Ciò non cambia il fatto che la scrittura e il giornalismo, a mio parere, restano il mestiere più bello del mondo.
#3. Come guadagna un giornalista professionista? E come può trovare lavoro?
Sempre se guadagna. 🙂 Scherzo, ma come dicevo prima è un periodo molto delicato per i giornalisti, contando che per mantenere il tesserino si deve comunque assicurare un lavoro abbastanza continuativo nel mondo dell’informazione e della comunicazione.
Il giornalista guadagna vendendo la propria capacità comunicativa ma molto più di quella: la sintesi, il fiuto per la notizia, l’imparzialità, la conoscenza di numerose fonti, i suoi rapporti sociali, le porte che si è aperto per raggiungere più fonti. Tutto questo per scrivere articoli, confezionare servizi radio o tv, scrivere approfondimenti. In aggiunta c’è tutta la parte che riguarda gli uffici stampa di enti o aziende: si cura la parte di comunicazione e il rapporto con i media.
#4. Cosa fa quotidianamente un giornalista? Come si svolge la sua giornata tipo?
Tutto dipende molto dalle collaborazioni lavorative che un giornalista ha in piedi. In generale è vietato essere all’oscuro delle notizie del giorno. 🙂 O perlomeno quelle del campo nel quale si lavora. Quando lavoravo in cronaca locale conoscevo a menadito tutti gli attori politici e sociali del luogo, le relazioni tra di essi, le posizioni generali loro e dell’opinione pubblica a riguardo dei temi caldi, in modo da ritrovarmi preparata per qualsiasi approfondimento. Serve a formulare le domande da fare per le interviste nel miglior modo possibile, per imparare a chiedere ciò che magari nessun altro cronista avrebbe chiesto, a non rimanere in superficie e a essere un buon giornalista, preparato su tutti gli aspetti non solo di una notizia, ma di una possibile tale. Sempre un passo avanti rispetto agli altri, insomma.
Per cui la giornata inizia sempre con una buona lettura di ciò che accade, prendendo appunti dei temi che si vorranno sviluppare. Si prendono poi i contatti con le fonti, si fa ricerca approfondita sul tema, si sentono più campane per dare, nella futura notizia, il panorama completo di punti di vista ed analisi. E lasciare al lettore l’arduo compito di prendere una posizione, senza suggerirne nessuna. Ecco, forse questo è la competenza più difficile per un bravo giornalista.
#5. Quali competenze deve possedere un giornalista professionista? E quali qualità?
Riallacciandomi alla risposta precedente, una delle competenze essenziali è fornire al lettore tutti gli strumenti per farsi un’idea su un determinato fatto, senza indurne una in particolare. Cosa che, al contrario, succede sempre più spesso. È anche naturale in quanto il giornalismo, per sua natura, non è mai pienamente oggettivo. Il giornalista è una persona in carne e ossa, sentimenti e pregressi e, per quanto possa mettere del proprio meglio per essere imparziale, racconterà sempre la notizia con i propri occhi e le proprie dita sulla tastiera. La bravura sta nel fare in modo che i propri occhi vedano (e raccontino) la storia nel modo più puro e onesto possibile.
Altre qualità essenziali, secondo me, sono la preparazione, la curiosità per natura, il fiuto per la notizia, il fatto di riuscire quasi a prevedere cosa potrà capitare riguardo a certi temi e preparare domande incalzanti e con un pizzico di irriverenza.
La precisione è un altro dettaglio non da poco: la negligenza non paga, mai. Nemmeno nell’era della super velocità di Internet. Sbagliare l’età, il nome, la caratteristica fondamentale di una persona coinvolta in un fatto per avere per primi la notizia non è mai una buona scelta, a mio parere. La sequenza di notizie a modalità 140 caratteri che si sceglie per raccontare le grandi vicende (un esempio fra tutti gli attentati a Parigi dello scorso novembre), veloce, super veloce, in tempo reale, non dà mai un’informazione completa e precisa, ma una massa informe di dettagli contrastanti, confusionari, errati e poco importa se verranno poi corretti e reinterpretati, la pancia delle persone avrà già digerito quei primi dettagli a caldo e difficilmente si inoltrerà nell’approfondimento.
Il risultato è un’opinione pubblica iper-aggiornata ma in realtà informata di niente: un numero altissimo di informazioni sommarie, superficiali e che non tengono conto, per la maggior parte dei casi, delle implicazioni, dei contesti, delle cause e delle conseguenze.
Questo overload informativo credo faccia male al giornalismo, sta sfuggendo di mano con conseguenze spesso dannose.
#6. Quale percorso di studio prima e professionale poi deve seguire chi vuole diventare un giornalista professionista?
Il percorso di studio per diventare giornalista non è così rigido come per altre professioni: non esiste una Facoltà specifica come Giurisprudenza per Legge, ad esempio. Ma esistono percorsi affini, che spaziano da una triennale in Lingue per la Comunicazione e l’Informazione come ho scelto io, all’Università Cattolica di Milano, a una di Lettere (ad esempio Linguaggi dei Media, sempre alla Cattolica), da Scienze Politiche a Filosofia. Insomma, le facoltà umanistiche in generale, chi più chi meno con i propri corsi di studio, creano una preparazione abbastanza ampia sul tema.
Dopo i primi tre anni invece le cose iniziano a farsi più complicate -ma sicuramente più interessanti- con una serie di corsi di studio mirati e un ventaglio ampio di opzioni. Io ho scelto la magistrale in Informazione ed Editoria all’Università di Genova, ma ne esistono altre molto valide in tutta Italia.
Ancora un’altra cosa sono invece i Master (quasi tutti con rette ahimé molto costose) che durano due anni, hanno un severo criterio di selezione e permettono di inserire il praticantato all’interno del master stesso, per poi accedere direttamente all’esame di Stato per giornalisti professionisti. Quest’ultima, al momento, sembra essere la via più sicura, oltre che la più costosa, per entrare a pié pari nel giornalismo. Spesso le realtà dove si è effettuato il praticantato confermano il giornalista nell’organico, altre volte no ma ci si è guadagnati comunque uno spazio nel mondo del giornalismo. Le altre vie sono più flessibili ma con meno sicurezze: sta allo studente cercare poi una realtà dove poter imparare e riuscire ad avere un contratto, ottenere gli anni di anzianità richiesti per far domanda e il numero di articoli necessari.
#7. Com’è cambiato il giornalismo in seguito alla diffusione del Web?
Come dicevo prima, il giornalismo nel web si è cercato di adattare al mezzo, alcune volte senza riuscirci al meglio. I giornali cartacei hanno fatto fatica ad aggiungere questo nuovo “arto” al loro corpo cartaceo, senza riuscire a sfruttare a pieno tutte le potenzialità. Rimane comunque, oggi, una grande fetta di lettori che ama comprare il giornale al mattino e non legge le notizie online. Come fare, dunque? Trasferire tutto online non si può, ma nemmeno tralasciare qualcosa. Nemmeno “autobruciarsi” pubblicando troppo online il giorno prima e togliendo la freschezza della notizia sul cartaceo del giorno dopo.
Sono dinamiche complesse su cui si sta ancora lavorando, credo.
Dall’altra parte, come dicevo, la voglia di esserci a tutti i costi, di dire “Hey, ci sono anche io, ti mando notizie in tempo reale come fossero Tweet” ha reso tutto più confuso, perdendo di precisione e autorevolezza. Le prime costruzioni precise di ciò che era successo a Parigi a novembre sono arrivate almeno il giorno dopo. Ma nel frattempo l’opinione pubblica aveva già un’idea precisa del fatto, dei colpevoli e delle cause da quei primi lanci ciechi di notizie. Idea precisa che è stata rivista, approfondita e implementata nei giorni successivi, certo, ma il lettore medio fatica ad andare oltre e digerisce solo ciò che arriva per primo. Perché dare informazioni vaghe, scorrette, confuse, solo per arrivare primi? Per i click, ovviamente.
Ma tutto questo si paga in termini di un’opinione pubblica davvero iper-informata ma poco formata su ciò che davvero accade.
Il tutto è peggiorato dal fiorire di una quantità immensa di siti fake, di bufale e di informazioni senza fonte alcuna: il web è “democratico” sì, dà voce a tutti, ma questo è forse un risvolto della medaglia. Il punto è che distinguere la buona informazione da ciò che non lo è, oggi, diventa sempre più difficile per un occhio (e un cervello) poco allenato.
#8. Qual è il ruolo dell’informazione digitale?
Un ruolo essenziale, quasi vitale. Ma forse spesso non se ne accorge. È facilissimo oggi rimanere aggiornati su tutto. A qualsiasi ora, su almeno 50 siti diversi per lo stesso fatto. Ma quel che conta è la qualità delle informazioni che riceviamo. L’informazione nel digitale, oggi più che mai, dovrebbe prendersi la responsabilità di educare il lettore a riconoscere ciò che può essere vero e verificabile da ciò che non lo è. Dare in mano gli strumenti per tutelarsi dalla marea di stupidaggini che ci vengono proposte quotidianamente è un dovere assoluto dell’informazione, secondo me.
#9. Come si può distinguere una fonte di informazione autorevole da una che non lo è?
Inutile dire che è necessario avere un occhio allenato. E tendenzialmente conscio del fatto che non tutto ciò che racconta un fatto nel modo in cui ci piace è onesto con i propri lettori. Mi spiego: prendiamo un tema molto in voga. “Straniero stupra ragazza”: titolo letto ovunque, per centinaia di notizie. Ma quante sono, davvero, quelle verificate (e verificabili)? I 2/3? La metà? Meno? Sarebbe interessante formulare una statistica dettagliata. In generale molte di quelle notizie erano bufale costruite per fomentare i sentimenti negativi collegati al fatto.
Spesso non si riconosce che sono falsità proprio perché alimentano un sentimento o una credenza che noi stessi già abbiamo, e questo spesso basta per non chiederci “da dove arriva questa notizia?”.
La verifica delle fonti dovrebbe, invece, essere il primo passo da fare quando ci si informa. Subito dopo aver letto il titolo. Indicatori per distinguere una fonte autorevole sono la quantità di dettagli, di nomi propri delle persone coinvolte nel fatto, di pareri di esperti o autorità (della polizia, degli infermieri, dei pompieri, del sindaco, del titolare x della farmacia y), la quantità di link esterni di approfondimento e, ovviamente, il nome della testata. Se è conosciuta o meno e, in caso non lo fosse, basta girovagare sul sito e cercare le informazioni di contatto, l’eventuale registrazione al tribunale se è una testata e non solo un blog, i nomi dei redattori e dell’eventuale direttore. Insomma, tutti quei dettagli che aggiungono autorevolezza a un sito e alla informazioni che offre.
#10. Come sarà, secondo te, il futuro del giornalismo?
Difficile dirlo, le cose si muovono molto in fretta e questa professione al momento è in crisi, ma credo che un buon giornalismo sia sempre necessario ed essenziale per un’opinione pubblica davvero informata e davvero consapevole. Il giornalismo è uno dei cardini di una democrazia che deve davvero nella parola “divulgazione” e che cerchi rendere l’informazione alla portata di tutti. Credo che il giornalismo dovrebbe davvero imporsi per una buona informazione, magari chiedendo chiarezza anche su tutte le norme giuridiche a riguardo (con Internet è ancora tutto molto confuso), che a mio avviso dovrebbero tutelare l’informazione vera, di una testata o di un blog che sia, da ciò che rimane fuori e rischia invece di screditarla.
È uno scacchiere davvero delicato ma sono sicura che, anche nel futuro, il giornalismo potrà fare la differenza nei fatti di tutti i giorni.
Grazie, Ludovica, per questa esauriente panoramica che in parte conferma e soprattutto arricchisce la mia conoscenza. Grazie Anna e Alessandra per le vostre voci ed esperienze!